di Ilaria Papa
Da tempo è nota la presenza delle donne all’interno dei processi migratori, non solo in Europa, bensì su scala planetaria, la cosiddetta femminilizzazione dei flussi migratori. In Italia questa presenza diventa maggioritaria a partire dal 2008, ma in realtà esiste una lunghissima storicità, che ha inizio già alla metà degli anni Sessanta del Novecento, i cui effetti arrivano fino ai nostri giorni. Abbiamo oggi seconde, terze, addirittura quarte generazioni, figlie delle donne giunte, a partire da quel periodo, nel nostro Paese. Si tratta di madri e figlie definite, in moltissimi casi, ancora, donne migranti.
Nel discorso pubblico, pochissima visibilità è dedicata ai percorsi di cittadinanza di queste donne, al ruolo decisivo che le donne con background migratorio hanno avuto e continuano ad avere nella creazione di nuovi spazi sociali, politici, culturali innovativi. Parliamo di donne socialmente creative che, già dopo pochi anni dall’arrivo in Italia, si sono impegnate in attività culturali, solidali, formative, sindacali, lavorando oltre i confini della comunità di appartenenza. Inizialmente si trattava di donne capoverdiane, filippine, eritree, che sin dagli anni Ottanta provavano a dare vita a forme aggregative, aprendo a pratiche, esperienze che hanno contribuito alla nascita dell’intercultura, dei primi servizi per i cittadini stranieri e allo sviluppo delle metodologie per l’empowerment individuale e di comunità in Italia. Queste donne hanno attivato de facto un processo culturale tendente a decostruire la tendenza a naturalizzare il sociale, a reificare le culture, tipica non solo dell’atteggiamento razzista, ma implicita in gran parte delle strutture delle società a capitalismo avanzato. Tale impegno, in ambito partecipativo, si rafforza soprattutto a partire dagli anni Novanta, quando gruppi di donne immigrate e native, dopo una fase di confronto, pensarono di unirsi, auto-organizzarsi. È il caso di Almaterra, la prima associazione interculturale nata in Italia, a Torino, nel 1993, o di Nosotras, fondata a Firenze nel 1998. Realtà nate con il sostegno della politica e delle prime leggi ad hoc, ma ancora attive dopo più di 25 anni.
La creatività sociale delle donne con background migratorio è presente e viva anche oggi, così come la loro capacità trasformativa. Diversi ne sono i possibili indicatori: non solo il protagonismo nell’associazionismo, ma anche le innumerevoli iniziative che si rilevano in ambito culturale ed economico. Dal punto di vista culturale, si pensi, solo per fare un esempio, all’impegno intellettuale e artistico delle donne afro-discendenti nello smontare stereotipi, raccontare la loro condizione di italiane senza una cittadinanza giuridica, far emergere la voce di un femminismo nero italiano, produrre un’arte dallo sguardo decolonizzato e contemporaneo. Dal punto di vista economico, negli ultimi anni, come si vede dai dati di Infocamere (2020), numerose sono state le donne di origine straniera (23%) che, soprattutto per rispondere agli sbarramenti all’assetto del mercato del lavoro creati da normative inadatte (e al conseguente non riconoscimento dei titoli di studio), un mercato sempre più duale, direbbero studiosi come Piore, hanno tentato di avviare attività economiche autonome, esperimenti concretizzatisi talvolta in iniziative imprenditoriali solide e significative, in campo sociale e non solo. È ciò che una recente ricerca sul fenomeno dell’imprenditorialità delle donne straniere nel Sud Italia, realizzata nell’ambito del progetto internazionale Athena – Approaches To valorise the High EntrepreneuriAL potential of migrant women to contribute to their social and economic integration ha messo in luce. La ricerca, dal titolo Migrant Women and Entrepreneurship in Southern Italy, (2022), a cui chi scrive ha preso parte, ha rilevato un forte intreccio tra più piani – biografico, sociale, economico – legati specificamente alla questione di genere, che è sfociato in forme di impegno imprenditoriale da parte di donne di origine straniera, nella maggior parte dei casi alimentato da iniziative attivate in parallelo dalle stesse nel campo della partecipazione e dell’associazionismo.
i tratta di esperienze preziose, ma anche di richieste di confronto pubblico su un piano storico, politico, sociale, oggi più che mai necessario, che, oltre a rompere con lo stereotipo e la narrazione che considera le donne di origine migrante unicamente come portatrici di problemi da risolvere, si caratterizzano come opportunità per l’intera società nella direzione di dialoghi culturali più complessi, per la condivisione di strumenti teorici e operativi rinnovati e per un superamento dei retaggi della concezione colonialista, razzista e sessista che ancora pervadono parte della nostra società.
(Sintesi della relazione al ciclo di incontri “I Venerdì di Diogene 2022”, del 25 febbraio)
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